Ce ne parla Maurizio Agostini – Presidente ATC Bologna L´art.35 della Legge Finanziaria nasce con lo scopo di riformare l´intero comparto dei servizi locali, avviandolo verso la liberalizzazione e la
Ce ne parla Maurizio Agostini – Presidente ATC Bologna L´art.35 della Legge Finanziaria nasce con lo scopo di riformare l´intero comparto dei servizi locali, avviandolo verso la liberalizzazione e la privatizzazione, impresa che non era riuscita al precedente governo attraverso i d.d.l. n.4014 e 7042. L´art.35 è molto complesso e di non facile interpretazione perché un medesimo comma può avere significati diversi a seconda del settore a cui ci si riferisce, tanto che, molto opportunamente, contiene già al suo interno la previsione di un regolamento applicativo che il Governo dovrà emanare entro sei mesi e che dovrà chiarire i numerosi dubbi interpretativi. Uno dei dubbi principali è se l´art.35 si applichi o no al trasporto locale. La questione potrebbe apparire ovvia perché il corpo principale dell´articolo è riferito ai servizi ´di rilevanza industriale´ e certamente il trasporto è un servizio di rilevanza industriale. Però, in coda alla votazione della finanziaria, la Camera ha approvato, quasi all´unanimità, un ordine del giorno che raccomanda al governo di non considerare applicabile al trasporto locale l´art.35, recependo i contenuti di un emendamento a suo tempo proposto dalla Commissione Trasporti. Ordine del giorno che ha un valore legislativo nullo ma che potrebbe avere un qualche effetto sul futuro regolamento governativo. Misteri degli organi legislativi italiani che non sanno spesso resistere alla tentazione di complicare le cose semplici. A tutt´oggi peraltro sembrerebbe assai arduo voler sostenere che il settore trasporti non abbia rilevanza industriale e sia quindi escluso dall´ambito di applicazione dell´art.35. Sarebbe, inoltre, assai necessario che i trasporti locali beneficiassero della norma perché essi soffrono di una regolazione incompleta che minaccia seriamente la liberalizzazione del settore. Supponendo che la controversia sulla applicazione dell´art.35 al trasporto locale sia risolta in modo positivo, secondo buon senso e opportunità, tenteremo una prima disamina della applicazione della nuova normativa. L´art.35 prende atto che i monopoli naturali non sono né liberalizzabili né privatizzabili tout court e che occorre preventivamente operare una separazione tra le attività che sono utilmente contendibili e quelle che non lo sono. Si ritiene infatti che la proprietà delle reti, degli impianti e delle dotazioni necessarie al servizio ed alcune attività ad essa correlate non siano da porre sul mercato e che debbano restare pubbliche. In effetti modelli di privatizzazione stranieri, come quello del trasporto londinese dove fu messa a gara anche la proprietà dei depositi, hanno dimostrato che la vendita dei beni crea forti barriere all´entrata per i nuovi entranti che riducono drasticamente la concorrenza. Curiosamente però le privatizzazioni italiane (e le quotazioni in borsa delle ex-municipalizzate in particolare) sono tutte avvenute comprendendo la proprietà dei beni, nella logica di ´massimizzare il valore per l´azionista´. Il Governo ha fatto qui una scelta chiara: l´obiettivo è la concorrenza e quindi gli enti locali dovranno accontentarsi di incassare di meno dalle loro privatizzazioni, mantenendo pubblica la proprietà di reti, impianti e dotazioni. Si potrebbe osservare che non è indispensabile mantenere pubblici i beni necessari allo svolgimento del servizio. In fondo anche un bene privato potrebbe essere soggetto ad un diritto d´uso, conferito a fronte di un apposito canone. Sarebbe possibile, in teoria, assoggettare un proprietario privato ad un ´esproprio d´uso´ del suo bene, compensandolo con un´equa remunerazione del suo capitale. Questa strada è stata però scartata, crediamo per due motivi:
- 1) nel diritto italiano, la fattispecie giuridica del diritto d´uso è assai confusa, se non proprio inesistente;
- 2) i capitali investiti in alcuni settori, come appunto nel trasporto locale, non potranno mai sperare di avere una equa remunerazione di mercato. Saranno sempre capitali, in gran parte pubblici, destinati o non essere remunerati affatto o ad esserlo in proporzione piuttosto modesta.
Il legislatore ha quindi concluso che la proprietà dei beni dovrà restare pubblica per assicurare una equa contendibilità del mercato residuo. Per inciso crediamo sia un buon modo per stroncare sul nascere avventure di tipo argentino, limitando fortemente i rischi del processo di liberalizzazione-privatizzazione. Si è trattata cioè di una scelta prudente e realistica, forse anche più conservativa di quelle proposte a suo tempo dai precedenti governi di centro sinistra. La legge contempla però due eccezione alla regola. Che succede infatti in quei casi in cui vi sono diritti pregressi (come quelli degli azionisti delle ex-municipalizzate quotate in borsa) o quelli derivanti da uno sviluppo delle reti integralmente finanziato da capitali non degli enti locali (come nel caso di Italgas a Torino) La risposta della legge può piacere o non piacere ma è tranchant: chi ha acquisito diritti pregressi se li tiene. Nel comma 1-14 e nel comma 11 sono contenute le due più rilevanti eccezioni alla proprietà pubblica di reti e impianti, che salvaguardano dalle gare i privati proprietari di reti ed impianti e le ex-municipalizzate quotande. I contorni di tali eccezioni e l´applicabilità ai trasporti locali (in particolare del comma 1-14 perché il comma 11 non si applica in quanto non vi sono società di trasporto quotande in borsa) dovranno però essere meglio precisati con il regolamento attuativo. Il nodo fondamentale resta quindi la separazione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni, che deve essere compiuta entro un anno dalla entrata in vigore della legge, tramite uno scorporo dei beni o di un ramo d´azienda. La legge non sembra proibire altre strade per ottenere la separazione, come, ad esempio, lo scorporo di un società di gestione o la scissione delle attuali S.p.a. ma certo ne indica una, in modo molto netto, che costituisce la modalità di riferimento. Scissione o scorpori sono fattispecie molto differenti. Nella scissione si creano due soggetti nuovi (con, particolare di rilievo, due consigli di amministrazione da nominare ex-novo). Nello scorporo la società attuale sopravvive, o come società di gestione del servizio o come società patrimoniale (e il consiglio di amministrazione attuale resta in carica). La permanenza si estende naturalmente a tutte le partite pregresse che la S.p.a attuale ha in essere, come la contrattualistica o gli accordi sindacali. La legge dice, in sintesi: le attuali S.p.a. di proprietà degli enti locali sono, già da oggi, società di gestione del servizio. Esse restano titolari dei rapporti in essere (quindi, ad esempio, non si devono fare trattative sindacali per spostare gli autisti in altre società e/o rivedere gli accordi integrativi aziendali). Gli attuali presidenti e consigli di amministrazione restano in carica nelle società di servizio e si dovranno confrontare con il mercato. Dalla società di gestione del servizio si dovranno poi scorporare i beni entro un anno, da collocarsi in una S.p.a. da creare ex novo. Si tratta della formulazione che semplifica maggiormente il complesso iter della separazione, soprattutto dal lato sindacale. Infatti sarebbe stato molto complicato pensare di trasferire i conducenti degli autobus in un nuovo soggetto (come fino a ieri si ipotizzava) perché si sarebbe creata una fibrillazione tra i dipendenti, divisi in due gruppi, chi soggetto ai rischi del mercato, chi protetto e garantito. Oggi invece tutti i dipendenti (e gli amministratori) sono già, di default, facenti parte della società di gestione del servizio, tutti soggetti ai rischi delle gare. Solo alcuni potranno essere trasferiti, forse ed in seguito, nella tranquilla società patrimoniale. Per il settore trasporti le gare sono previste, senza eccezioni, entro il 2003 e in alcune regioni come la Lombardia, entro il 2002. La ristrettezza dei tempi rende quindi assai urgente decidere come effettuare lo scorporo. E´ quindi prioritario avere risposta ad alcune domande:
- 1) che cosa si intende per reti impianti e altre dotazioni;
- 2) a chi vanno i beni scorporati;
- 3) quali attività andranno al seguito della proprietà dei beni;
- 4) quali caratteristiche avrà il nuovo soggetto che le gestirà;
Per reti, nel settore trasporti locali, si intendono certamente le metropolitane, le tramvie e le filovie. Per impianti, molto probabilmente, i depositi, in particolare quelli critici, affinché la successiva gara si svolga in un regime di parità. Le dotazioni sembrerebbero poter essere anche gli autobus. Anche qui il regolamento applicativo dovrà essere più chiaro. I beni scorporati sono conferiti ad una S.p.a. di un tipo particolare, in quanto limitata nella sua proprietà e nel suo operare. Si tratta di una specie di ´mostro´ giuridico in quanto è sì una S.p.a. ma con vincoli così forti che non erano contemplati fino ad oggi nell´ordinamento italiano. Che l´esistenza di tali soggetti sia una nuova esigenza per liberalizzare al meglio i monopoli naturali lo dimostra però il fatto che organismi simili compaiono anche nel regolamento europeo sui trasporti, in questi mesi in discussione, dove si ipotizzano, ad esempio, S.p.a. che non possono operare fuori dal territorio di origine e fuori dal loro campo. I principali limiti della S.p.a. patrimoniale sono:
- 1) la maggioranza delle azioni deve restare in mano agli enti locali (comma 1-13);
- 2) deve affittare reti, impianti e dotazioni alla società che gestisce il servizio e/o la rete (comma 1-13 e anche comma 1-9) a meno che non li gestisca direttamente (comma 4);
- 3) non può partecipare a gare per l´erogazione del servizio (comma 1-6);
- 4) può invece espletare le gare per l´assegnazione del servizio stesso (comma 1.13), essendo quindi una sorta di Agenzia appaltante.
Tale società costituisce una poderosa cassaforte finanziaria al servizio dell´ente locale che può finanziare nuovi investimenti, sia incrementando il capitale con soci privati fino al raggiungimento del 49%, sia indebitandosi. Essa si finanzia tramite la locazione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni e può, ove possibile, remunerare il capitale (quantomeno quello privato) sia di rischio che di debito. I suoi contorni non sono però del tutto chiari, soprattutto nel settore trasporti. Infatti interpretando i limiti suddetti in senso stretto, tale S.p.a potrebbe svolgere anche altre attività imprenditoriali fuori settore o fuori territorio mentre interpretandoli in senso lato, essa non potrebbe fare altro se non quello che è esplicitamente permesso, cioè essere solo cassaforte finanziaria e stazione appaltante. Le attività che potrà svolgere la S.p.A. patrimoniale non sono quindi compiutamente note a tutt´oggi. Ad esempio, può trattenersi le entrate tariffarie, remunerando quindi il gestore del ´servizio´ con contratti tipo gross cost, oppure deve affidare alle aziende di gestione i ricavi, con contratti quindi di tipo net cost? Potendo essa gestire reti ed impianti e dotazioni, può occuparsi anche della manutenzione degli stessi fino a provvedere anche agli autobus? Se ciò fosse possibile, in casi estremi, la società di gestione del ´servizio´ potrebbe ridursi alla sola attività della guida. La struttura del settore trasporti, cioè, non è determinata dall´art. 35 ma resta molto incerta. Le società di gestione del servizio potrebbero essere semplici società di autisti (che vivono su contratti gross cost come fossero sub-appaltatori) ma anche società più articolate, con un rapporto vero con l´utenza e che vincono gare sulla base di progetti industriali complessi, comprendenti investimenti e che si finanziano con contratti net-cost. Lo spirito della legge sembrerebbe propendere verso quest´ultima ipotesi perché, in varie parti, trapela una concezione di società di servizio in grado di gestire attività complesse (ad esempio nel comma 7, dove la gara è aggiudicata su piani di sviluppo delle reti, rinnovo e manutenzione) ma, alla lettera, non è altrettanto chiara. Alla lettera, sembrerebbe possibile disegnare anche società di gestione del servizio estremamente povere e praticamente sovrapponibili a sub-fornitori della sola guida, con connotati ai limiti della intermediazione della manodopera. In questo caso la vera azienda di trasporto locale sarebbe la società patrimoniale, dove risiederebbe tutto il know how e tutto il potere decisionale e che non dovrebbe mai più essere messa a gara, sterilizzando così in gran parte il processo di liberalizzazione. Il modello della società di servizio ultra-debole non è una novità perché è esattamente quello già in essere nel comune di Roma, dove ATAC è la società patrimoniale, oltre che stazione appaltante, e Trambus la società dei soli autisti. Esso ha già avuto altre applicazioni anche in Emilia Romagna, come, ad esempio, a Rimini. E´ un modello messo a punto un paio di anni fa e che ha sul settore un´ovvia attrattiva: molto resterebbe pubblico e le gare sarebbero ristrette all´attività più semplice e ripetitiva, la guida. Tutta l´´intelligenza´ resterebbe protetta nella S.p.a. patrimoniale non soggetta a gara, la manodopera bruta sospinta nelle fauci del mercato. L´art. 35 sembrerebbe non ammettere tutto ciò nello spirito ma sembrerebbe permetterlo nella lettera. In ultima analisi, purtroppo, anche nell´art.35, il concetto di servizio da mettere a gara è rimasto indefinito. Così come nei vecchi d.d.l. n.4014 e 7042, non si è voluto, o potuto, affrontare il nodo vero della riforma dei servizi locali: che cosa è che si deve mettere a gara, cioè che cosa è ´l´erogazione del servizio´? Certo la risposta deve essere diversa per il vari settori ma per i settori dove la normativa specifica non dà risposte, dove non esiste purtroppo una Autorità a cui rivolgersi, come dobbiamo regolarci? L´ultima speranza, prima dell´anarchia localista, è riposta nel regolamento applicativo. Maurizio Agostini ? Presidente ATC Spa ? Azienda trasporti pubblici Bologna