Stipendi e salari doppiano i ricavi della vendita dei biglietti, nell'interessante approfondimento di Fabio Pavesi per il Sole 24 Ore la fotografia dello stato dei conti di Amt Genova

Ecco chi paga il conto dell’Amt di Genova

Ecco chi paga il conto dell’Amt di Genova

Far funzionare a Genova bus, filobus e quel metrò di infinita realizzazione costa alla città oltre 180 milioni di euro l'anno. Sono le cifre del bilancio dell'Amt, l'Azienda mobilità e trasporti del capoluogo ligure. Tanti, pochi? Dipende. Sta di fatto che come nella gran parte delle aziende di trasporto pubblico locale la voce che incide di più è quella del personale

I 2.400 dipendenti di Amt sono costati, nel 2012, 109 milioni di euro e 116 milioni di euro l'anno prima. Da solo il costo per stipendi e salari vale quasi 2 volte i ricavi dalla vendita dei biglietti che portano in cassa circa 60 milioni di euro l'anno. Il resto del bilancio è fatto dai sussidi pubblici. Il solo contributo per il servizio reso è di 72 milioni; altri 40 milioni sono coperture per il contratto e contributi tariffari.   Su un fatturato che sfiora i 190 milioni di euro la vendita di biglietti (i ricavi da mercato) vale poco meno del 30%, tutto il resto è fatto da sussidi. Non è un caso isolato. Pressoché tutte le aziende municipalizzate in Italia hanno questo squilibrio. La vendita dei biglietti è solo una quota residua del fatturato. E così il peso dei costi fissi (il personale innanzittutto) finisce per portare i bilanci in rosso.   L'ultimo bilancio, quello del 2012, ha visto una perdita per 10 milioni. Ma è solo l'ultimo bilancio in rosso di una lunga teoria. Tra il 2005 e il 2012 l'Amt di Genova ha cumulato perdite per 25 milioni. E le poche volte che ha chiuso in utile l'ha fatto per importi trascurabili. Un'altra azienda di bus, tra le tante che in Italia vivono in profonda crisi, sempre in bilico tra sopravvivenza e fallimento.   Ma un'azienda pubblica di trasporti non può fallire. Finisce che ci pensa il Comune a rimpinguare il capitale. È successo a Roma con la disastrata Atac che ha visto un'operazione di ripatrimonializzazione nel 2011 per il valore di 1 miliardo. È in scena lo stesso film in questi giorni a Genova. Il Comune deve immettere denaro nella società per farla stare in piedi.   Nel 2012 il sindaco Marco Doria ha aperto il portafoglio per 12 milioni e altri 13 milioni sono stati stanziati per il 2013. D'altra parte c'è un vincolo: il costo del biglietto ha un valore sociale. Non si può alzare sopra una certa soglia. Ma così per coprire costi sempre elevati si finisce per avere il Comune come banca. E il circolo vizioso è che alla fine il conto viene pagato comunque. L'iniezione di denaro continua da parte dell'ente locale viene compensato da un aumento della fiscalità comunale.   La situazione di Roma (con Atac che ha cumulato la bellezza di 1,6 miliardi di perdite in 10 anni) e quella di questi giorni di Genova non sono casi isolati. Da sempre sono strutturalmente in rosso o sul filo del rasoio perenne aziende come la Cotral (l'azienda regionale del Lazio), l'Anm di Napoli, la Ctp che opera sul territorio della provincia di Napoli. E quando riescono a stare in piedi senza buchi strutturali profondi, come nel caso della holding GTT di Torino, c'è il Comune che tenta di metterle sul mercato per fare cassa e fronteggiare l'alto debito del capoluogo piemontese. E che le cose non vadano affatto bene lo dicono i dati.   Un'azienda su due operanti nel servizio di trasporto locale chiude da anni in perdita strutturale e le cose non possono che peggiorare nei prossimi anni in tempi di taglio delle risorse ai Comuni. Un rapporto dell'agenzia di rating Fitch prevede che le perdite aggregate del settore del trasporto pubblico locale raggiungeranno i 300 milioni di euro nel 2014, da una media di circa 100 milioni di euro negli ultimi cinque anni.   È ovvio che si può tentare di agire sulla leva del prezzo del biglietto. Sia a Milano (dove l'Atm chiude in utile) sia a Roma (dove l'Atac è strutturalmente in pesante deficit) il biglietto è stato portato da 1 a 1,50 euro. Un aumento secco del 50% che avrebbe dovuto beneficiare i ricavi da mercato delle aziende. A Roma per l'Atac l'impatto è stato nullo. Colpa della pesante evasione tariffaria che, complice l'inefficienza dell'azienda, si è mangiata ogni possibilità di veder salire le entrate.   Il nodo alla fine rimane sempre quello degli ingenti costi fissi. In particolare quelli del personale che spesso finiscono per valere anche il 60-70% del totale dei ricavi. Non che i dipendenti costino troppo a livello unitario. Ma spesso sono tanti, troppi. A Roma sono 12mila. Un piccolo esercito.   Sull'Amaca del 24 novembre anche Michele Serra commenta la vicenda di Genova:   ..l’aspetto più sconvolgente non è la rabbia sociale (capita, è sempre capitato, capiterà sempre), non sono le speculazioni politiche. È l’ammontare della cifra per la quale la municipalizzata di una delle città più grandi e importanti d’Italia rischia il collasso: otto milioni di euro. Non voglio fare demagogia (dovrei comunque mettermi in coda), ma è una cifra ridicola se raffrontata alle montagne di quattrini elargite alle banche, che avevano accumulato “buchi” cento volte più grandi; è una cifra pari, o inferiore, alle liquidazioni e alle stock option di molti manager privati, e non sempre a fronte di brillanti risultati; è una cifra che nella foresta dell’economia finanziaria fa la figura di un cespuglio in mezzo alle sequoie.
Se nell’Italia del 2013 otto milioni di euro diventano un macigno in grado di far naufragare la città di Genova, significa che il concetto stesso di “servizio pubblico” è stato defalcato a zavorra residuale, a impiccio antistorico; e viene da chiedersi quando toccherà agli ospedali, alle scuole, alla cultura, a tutto ciò che non crea immediato profitto. Il concetto (squisitamente ideologico) che merita di sopravvivere solo ciò che rende quattrini significa, né più né meno, che i poveri saranno considerati colpevoli di povertà, e i ricchi potranno comperarsi l’assoluzione.

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