I tassisti 2.0 fanno il loro sbarco a Genova e la bagarre è assicurata, riportiamo la cronaca di Roberto Sculli e Valentina Carosini per Il Secolo XIX

Anche a Genova arriva Uber

Anche a Genova arriva Uber

Doppi controlli di identità, a bordo strada e all’ingresso del salone. Occhiatacce a potenziali intrusi, eventuali prese di posizione ufficiali rimandate a un indefinito, successivo momento. Primo pomeriggio, Sestri Ponente a due passi dall’aeroporto, albergo Marina Place Resort: da ieri non è più soltanto un indefinito timore che aleggia fra gli “ufficiali”

Pietra dello scandalo – e oggetto del primo step di arruolamento di personale sotto la Lanterna – è Uber, un’applicazione per telefonini che, partendo dagli Stati Uniti, ha mietuto successi travolgenti un po’ ovunque nel mondo.   Una sorta di liberalizzazione tecnologica del trasporto di persone, con potenzialità di diffusione tali da indurre i conducenti di Taxi a ribellarsi.   «È concorrenza sleale ed è fuori da ogni legge», è il coro degli 870 tassisti di Genova, che da diverso tempo tengono d’occhio i primi passi della declinazione nostrana del servizio.    Le misure di sicurezza tipo Fort Knox, ieri, compreso un cambio di location all’ultimo minuto (o quasi), sono state la naturale conseguenza di una tensione palpabile e sempre più elevata. Una contrapposizione sfociata, altrove – Milano è l’esempio più recente – in scontri anche fisici fra i titolari di regolare licenza e quelli che, agli occhi dei primi, non sono altro che un’altra tipologia di abusivi.   «Che sia chiaro – dice il precidente della cooperativa Radio Taxi, Stefano Benassi – noi non intendiamo trascendere. Rimarremo sempre nei binari della legalità, da ogni punto di vista, ma pretendiamo che le istituzioni non facciano finta di niente o tollerino gli abusi come succede altrove».    Genova non è la prima piazza che vede l’affaccio di Uber, che è già attivo, con un ordine di priorità, va da se, conseguente alle potenzialità del mercato, non solo a Milano ma anche a Roma.   «Monitoriamo sempre quello che bolle in pentola sul tema della mobilità», dice Benassi. In altre parole sono stati proprio i tassisti i primi a intercettare l’imminente reclutamento di personale a Genova. Appuntamento peraltro non certo riservato – almeno prima che la vicenda salisse di tono – perché pubblicizzato attraverso vari canali, incluso l’immancabile Facebook.   Invece ieri, a due passi dalla marina dell’aeroporto, nessun cartello o avviso lasciava intendere fosse in atto l’evento. Le porte della sala al piano terra sono rimaste rigorosamente chiuse, tranne per quanti avessero compilato un modulo in precedenza.   Una sorta di lasciapassare per avvalorare l’esistenza di un interesse reale all’iniziativa, e non al contrario un mero tentativo di infiltrarsi e carpire informazioni.    La vicenda è seguita con grande attenzione dalla polizia municipale, che vuole approfondire quelli che qui e ora sono soltanto potenziali illeciti. Seppure la tipologia di servizio offerto e le modalità illustrate nei volantini di accompagnamento e nelle presentazioni, a una prima analisi, parrebbero in palese contrasto con le regole italiane.    Sia il funzionamento sia l’utilizzo di Uber, come di servizi analoghi ma di certo meno diffusi, sono in realtà piuttosto semplici. Sfruttando le caratteristiche gps (è il sistema che, grazie ai satelliti, permette di collocare gli apparecchi elettronici in qualunque punto del globo) degli smartphone, la “app” incrocia in tempo reale la posizione di chi ha bisogno di un trasporto e del conducente disponibile più vicino. In pratica una sorta di replica digitale di un centralino tradizionale, con la differenza che non c’è personale a rispondere al telefono e gli incontri fra domanda e offerta sono privi di un preciso inquadramento formale.  Non è tutto: la “app”, basandosi sulla tratta indicata dall’utente, restituisce subito anche la tariffa che si dovrà pagare.

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