L'approfondimento di Alessandro Da Rold per Linkiesta

Trenord, la guerra per bande che pagano i pendolari

Trenord, la guerra per bande che pagano i pendolari

Senza un amministratore delegato, tra i litigi della politica, i sindacati e Fs. La paura di Expo

Senza un amministratore delegato, con i pendolari infuriati (in particolare per la congestione di questi giorni a causa del vertice euroasiatico), Trenord, la società del trasporto pubblico locale in Lombardia, è ormai precipitata nel caos più totale. E questo succede a meno di 200 giorni dall’inizio dell’Expo 2015, con il rischio, già ventilato nei mesi scorsi, che la rete ferroviaria non riesca a reggere l’impatto dell’esposizione universale. All’azienda manca ancora un amministratore delegato. Dopo il rifiuto della supermanager Laura Cavatorta a luglio e dopo il “no, grazie” della tagliatrice di teste Lucia Morselli, ora Fnm (Ferrovie Nord Milano) sta lavorando per individuare un altro nome. Si parla di Cinzia Farisè, manager dall’esperienza internazionale (oggi è in Prysmian azienda indiana leader nella produzione di cavi elettrici ndr) con un passato nel settore ferroviario. Ma la vicenda è intricata e di non facile soluzione. Chi conosce l’azienda parla di una guerra per “bande”, tra politica e sindacati,  dove rischiano di farne le spese solo i pendolari, in termini di efficienza e servizi. Le lettere di lamentele ai giornali sono all'ordine del giorno. L'ultima pubblicata sull'Eco di Bergamo parla chiaro con tanto di foto corredate: «I problemi oramai ci sono e sono evidenti, non se ne può più, noi pendolari gli abbonamenti li paghiamo subito quando andiamo alla biglietteria, ma per quale servizio?».   Il primo punto è la guerra tra gli azionisti. Quando al Pirellone governava il ciellino Roberto Formigoni, le decisioni chiave sui destini dell’azienda venivano concordate dal governatore e dall’ex amministratore delegato Mauro Moretti: a mediare c’era anche l’assessore Raffaele Cattaneo. Oggi la regione conta di meno. E non è un caso che Roberto Maroni, attuale numero uno al Pirellone, non perda occasione per dichiarare che le scelte su Trenord non spettano al governatore ma all’azienda. Dall’altra parte del fiume, in questo mare magnum di interessi, c’è il gruppo FS, diviso tra gli interessi di RFI e quelli di Trenitalia. La governance è al 50 e 50 (con FNM e Trenitalia azionisti paritari ndr) basta e avanza per tenere tutto bloccato. Proprio per questo, in seguito alle consuete polemiche relative alle nomine, alcuni tentativi anche espliciti di acquisire il controllo da parte del gruppo FS del 100% siano stati rispediti al mittente proprio da Maroni.   Esperti del settore sostengono che in regione non abbiano tutti i torti: dare la maggioranza a Ferrovie dello Stato significherebbe di fatto rinunciare al progetto della public company regionale che nell’era Formigoni aveva raggiunto "punte di efficienze mai viste prima in Italia". Cosa più grave, significherebbe trasferire al Gruppo FS gli asset (ovvero i treni) comprati dalla gloriosa LeNord con i soldi delle tasse cittadini Lombardi. Il rompicapo è difficile da risolvere, cosa che potrebbe convincere Farisè a rimanere in India, piuttosto che mettersi in un ginepraio pieno zeppo di veti incrociati e di dirigenti inamovibili. Secondo aspetto, continua la guerra sindacale.   Nel 2012 Trenord ha siglato un contratto di secondo livello senza la firma di uno dei sindacati più rappresentativi, l’Orsa. Il contrato ha fatto lievitare i costi del personale a dismisura, tanto che prima dell’estate scorsa sempre Trenord, resasi conto con due anni di ritardo del "pasticcio", ha modificato uno degli articoli più contestati: l’incentivo per i controllori.   Con l’Orsa fuori e gli altri sindacati sul piede di guerra per i tanti articoli del contratto rimasti ancora lettera morta, pare difficile che in azienda, con lo schema attuale, si riesca a firmare anche un solo altro accordo, a partire dalle elezioni delle delegazioni sindacali per finire alle necessarie modifiche di un contratto di lavoro forse scritto con troppa fretta. E non manca giorno che non vi siano da parte delle organizzazioni sindacali lettere, volantini, diffide, accuse a viso aperto rivolte ai manager della società. Che puntualmente non rispondono.  Forse, sostiene qualcuno, sono tutti questi equilibri precari che hanno impedito a Giuseppe Bonomi, ex ad di Sea, di atterrare in Trenord. L'avvocato di Varese, vicino alla Lega Nord, avrebbe disinnescato questa "bomba sindacale" assumendosi la responsabilità diretta delle trattative.   Avrebbe avuto una interlocuzione autorevole e paritaria con gli azionisti, senza timori reverenziali. Ma soprattutto avrebbe fatto piazza pulita dentro l'azienda senza guardare in faccia nessuno. E questo, in piazza Cadorna lo sanno, non si può fare.

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