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Vision Zero: Gli incidenti non sono il problema principale

Vision Zero: Gli incidenti non sono il problema principale

Riportiamo oggi un’intervista a Matts-Åke Belin, esperto in sicurezza dell’Amministrazione Stradale Svedese, su “Vision Zero“, il rivoluzionario approccio al tema dell’incidentalità da traffico

Matts-Åke Beli ha una qualifica professionale che potrebbe apparire strana, ma che viene presa molto in considerazione nella sua patria, la Svezia: pianificatore della sicurezza del traffico. Svolge il suo lavoro nella Amministrazione Svedese dei Trasporti, nella quale ha avuto un ruolo chiave nella messa a punto della politica conosciuta come “Vision Zero”. Fin dal giorno della sua approvazione da parte del Parlamento Svedese nell’ottobre 1997, Vision Zero ha permeato l’approccio nazionale ai trasporti, costringendo i governi a gestire le strade e le vie della nazione con lo scopo principale della prevenzione degli incidenti gravi e mortali.   Questa rappresenta una visione radicale che ha reso la Svezia un leader nel campo della sicurezza stradale. Al tempo dell’inaugurazione di Vision Zero, in Svezia si registravano sette incidenti mortali ogni 100mila persone; oggi, nonostante un considerevole aumento dei flussi di traffico, questa cifra è scesa a meno di tre. In Italia nel 2012 si sono registrati 6.2 incidenti mortali per 100mila abitanti (fonte).   Di recente Belin è stato a New York invitato al Vision Zero symposium organizzato da Transportation Alternatives. New York, sotto l’Amministrazione De Blasio, ha adottato una politica denominata anch’essa Vision Zero, benchè non segua strettamento un approccio di tipo svedese. Quella che segue è una mia intervista a Belin sulle differenze culturali tra Svezia e USA, l’inevitabilità dell’errore umano, la responsabilità degli ingegneri del traffico, la solitudine dei pedoni di New York.   Quali sono stati gli ostacoli più grossi da superare per l’adozione della strategia di Vision Zero?   Direi che i problemi iniziali non fossero politici, ma professionali. La resistenza più accanita la sperimentammo da parte di quegli economisti che avevano costruito la loro intera carriera sull’analisi costi-benefici. Per loro è davvero difficile considerare un’ipotesi “zero”. Nei loro modelli economici ci sono costi e benefici e, benchè possano non arrivare mai a dirlo esplicitamente, l’idea che esista un numero di morti ottimale. Un prezzo che bisogna pagare per il trasporto.   Questo problema è influenzato da una forma mentis utilitaristica. Vision Zero pensa che non sia accettabile l’idea della possibilità di morire o subire lesioni gravi quando ci si muove. Si tratta di una questione di diritti civili che si porta nell’ambito trasportistico.   L’altro gruppo con il quale abbiamo avuto dei problemi è quello degli esperti della sicurezza stradale. Molti di loro si sono formati sull’idea che la sicurezza riguarda la modifica dei comportamenti individuali. Vision Zero invece sostiene che la gente commetta sempre degli errori, che abbia un certo livello di tolleranza rispetto alla violenza dell’impatto e che sia necessario creare un sistema a misura d’uomo invece di provare ad adattare gli umani al sistema.   Quanto l’accettazione di Vision Zero ha a che fare con la mentalità svedese?   Naturalmente la Svezia ha una lunga tradizione nel tema della sicurezza. E anche Vision Zero ha a che vedere con questo contesto storico. Se prendete, per esempio, Volvo – hanno anch’essi adottato Vision Zero – è una casa automobilistica che ha sempre posto la sicurezza tra i suoi obiettivi centrali.  Quindi in qualche modo sembra avere a che fare con la nostra intera società.   In moltri altri stati, questo non è il caso.   C’è una specie di paradosso. Nel 2006 vivevo a Melbourne, in Australia. Ricordo che un giorno andai in una biblioteca e trovai un libro di un autore americano sulla Svezia. Quel tipo sembrava un pochino frustrato. Vedeva tutti questi sistemi che abbiamo in svezia, per esempio la sanità, la sicurezza sociale e così via, e sembrava essere contrario ad essi. C’era come un pregiudizio per il quale se ci si prende troppo cura delle persone in una società queste possano venire un pochino private di qualcosa,  o roba del genere. Questa è la mentalità da combattere.   D’altro lato, la Svezia è sede di alcune delle più importanti multinazionali del mondo. Ericsson, Volvo – ci sono effettivamente moltissime aziende di dimensioni globali. È un piccolo paese ma lo si trova in tutto il mondo. L’autore arrivava alla conclusione che probabilmente un sistema di sicurezza sociale contribuisce a creare persone che si assumono dei rischi. Perchè si sa che se accadono degli imprevisti e qualcosa va storto nei tuoi affari, quanto meno non morirai di fame.   In qualche modo noi siamo riusciti a costruire questo nella nostra società.   E che ruolo ha tutto questo nel campo dei trasporti?   Se possiamo creare un sistema dove le persone sono sicure, perchè non dovremmo farlo? Perchè dovremmo addossare ogni responsabilità sul singolo utente della strada, quando sappiamo benissimo che utilizzerà il suo cellulare  e farà un sacco di cose che non ci piacciono? Così proviamo a costruire un sistema più a misura d’uomo. Abbiamo la conoscenza per farlo.   Ma per farlo dobbiamo far accettare questa filosofia a quelli che costruiscono questo sistema. Anche nel nostro contesto è stata comunque una dura battaglia far accettare agli ingegneri stradali la loro responsabilità, parte tutto da loro. Anche il singolo utente ha una sua responsabilità, ma se qualcosa non funziona la cosa risale fino al progettista.   Quali sono alcune delle misure di sicurezza stradale che avete adottato con maggior successo in Svezia?   Nell’approccio tradizionale si tenta di risolvere principalmente il problema degli incidenti. Quando si effettuano studi approfonditi ci si accorge che il fattore umano è implicato nel 90 per cento dei casi. Così ci si concentra prevelentemente sulla prevenzione degli incidenti, su come si possano modificare i comportamenti e questo genere di cose.   Ma per Vision Zero l’incidente non è il problema principale. Il problema sono i morti e gli invalidi che questi incidenti creano. E la ragione per la quale la gente muore o resta gravemente menomata è che le persone hanno una certa soglia di tolleranza alla violenza generata dall’impatto. E sappiamo con una certa precisione quale è questa soglia.   Uno dei pregi principali di Vision Zero è quello di mettere chiaramente queste carte in tavola. È come quando, parlando di problematiche ambientali, sappiamo di avere una soglia di tolleranza a un certo tipo di sostanza tossica. Se ne può tollerare solo fino a un certo livello. Quindi non si tratta di fermare il traffico. Il traffico si può permettere. Ma se ci sono luoghi nel vostro sistema stradale dove convivono utenti deboli e forti, secondo Vision Zero non si può avere un limite di velocità superiore a 30 km/h.   Perchè se sussiste, come in Svezia prima di Vision Zero, un limite di 50 km/h di default se venite investiti da un’automobile il rischio di morire è di circa l’80 per cento. Ma questo rischio scende a meno del 10 per cento se avete un limite di 30 km/h.   Chiaramente ci siamo accorti che modificare i limiti di velocità non basta. Bisogna utilizzare dossi rallentatraffico, bisogna capire come gestire i punti di conflitto che si trovano in qualunque sistema stradale eccetera.   Lo stesso vale per gli incroci. L’uso delle rotonde si è diffuso moltissimo. Perchè sono molto meglio in termini di sicurezza, dato che riducono la velocità dei mezzi.   Questo vale anche quando penso a New York. Il sistema semaforico pedonale che avete adottato – che consente all’automobilista di svoltare mentre i pedoni hanno il verde – scarica tutta la responsabilità della sicurezza su queste due categorie di utenti. E se qualcuno commette un errore, avete contribuito a creare un problema per entrambe. Se volete aiutarli forse dovete dare la precedenza ai pedoni, mentre l’automobilista dovrà fermarsi fino a che non sarà permessa la svolta.   Questo problema è molto sentito a New York. Molti morti tra i pedoni sono stati uccisi agli incroci che stavano attraversando da automobili che non hanno rispettato il loro diritto di precedenza. Il caso più drammatico è di un anno fa quando una bimba di tre anni, Allison Liao, che camminava con la nonna, venne investita e uccisa e il responsabile non venne nemmeno multato.   Questo è un buon esempio. Come risolviamo questo problema? Potreste seguire una strada che porta a un’inasprimento delle sanzioni – questo almeno porterebbe qualcuno ad assumersi la responsabilità.   Vision Zero andrebbe però oltre questo modo di vedere. Sosterrebbe che questa è una catastrofe, una catastrofe umana per chiunque sia rimasto coinvolto, anche per l’automobilista che ha ucciso quella bambina.  Come potremmo comportarci partendo da un’analisi dei dati per assicurarci che questo genere di errori non sfoci in una tragedia?   Perchè questi errori si verificheranno sempre. Nelle società odierne siamo così dipendenti dal trasporto stradale che dobbiamo permettere quasi a tutti di utilizzare queste tecnologie. Questo ci riporta alla responsabilità dei progettisti: dobbiamo progettare un sistema che aiuti le persone a evitare le tragedie.   Un modo di fornire questo aiuto è quello di stabilire una velocità adatta. Così se succede qualche cosa di imprevisto questo non si traduce in persone morte o gravemente mutilate.   Non verrà mai detto abbastanza, il limite di velocità è oggi di 30 km/h. Come hai detto la progettazione svolge un ruolo cruciale.  Ma per quanto riguarda l’educazione stradale e la sorveglianza?   La sorveglianza stradale ha un suo ruolo in Svezia, ma non centrale. Guardiamo molto di più agli aspetti ingegneristici che a quelli di presidio delle forze di sicurezza stradale. Se avete un corpo di polizia dedicato potete ottenere buoni risultati. Ma non penso che si otterrà un sistema sicuro. Ridurrete il rischio, ma non otterrete un sistema sicuro.   E la videosorveglianza?   La facciamo, ma in un modo differente. Prima di tutto, viene gestita a livello nazionale. Viene applicata nelle aree urbane come in quelle rurali. E le telecamere di sicurezza, così le chiamiamo, sono collocate su quasi tutte le strade rurali. Abbiamo uno dei più imponenti sistemi di videocamere al mondo in rapporto alla popolazione.   Ma non servono a multare la gente, servono a invitarla a rallentare. Mettiamo le videocamere sui rettilinei e poi diciamo a chiunque, OK, stai percorrendo questa strada e in modo amichevole ma fermo diciamo che devono astenersi dall’accelerare perchè è un tratto di strada dove si sono registrati degli incidenti.   Il rispetto dei limiti su queste strade è aumentato dal 50 a più dell’80 o 90%. E non abbiamo mai multato nessuno. Riduciamo la velocità, ma non multiamo nessuno. E non guadagniamo soldi. Si tratta di un investimento. Non vogliamo finire in quelle discussioni dove si sostiene che facciamo queste cose per raccogliere fondi. Vogliamo che la gente capisca che questo serve alla sua sicurezza. Così spingiamo le persone a fare la cosa giusta.   Sembra che il sistema che stai descrivendo nel suo complesso sia molto più empatico, nel quale istituzioni e persone comuni che utilizzano la strada si comportano come partners che provano a rendere sicuro un posto. Quando giri per le strade di NY, cosa pensi?   Mi sento molto solo. Non c’è nessuno che si prende cura di me. Perchè sono qui come pedone. E quando provo ad attraversare una strada, mi seno un po’ insicuro. Sembra che, OK, devo occuparmi della mia sicurezza il più possibile.   Pensi che le persone che hai incontrato qui capiscano quello di cui c’è bisogno per raggiungere una Vision Zero?   Non ne sono sicuro. È per questo che è così importante per me rendere un quadro completo della situazione. Non si tratta solo di una questione etica, ma implica molti altri aspetti. Ed è molto diverso dal tradizionale modo che abbiamo di occuparci di sicurezza stradale sotto parecchi punti di vista. Per me è importante comunicare questo messaggio. Perchè penso che sia questo quello che rende davvero sicuro un sistema.   C’è un grossissimo potenziale in tutto questo, non solo per quanto riguarda la sicurezza stradale, ma per la vivibilità delle città in generale. Riuscire a mandare i vostri figli a scuola da soli sarebbe fantastico.   Essere anziani in questo ambiente deve essere un incubo. Quando vedi questa mano rossa che inizia a contare alla rovescia e sai che hai pochissimo tempo, come essere umano non ti trovi in una situazione molto confortevole. Ma non vogliamo nemmeno accusare gli automobilisti. Perchè vogliamo qualcosa di buono anche per loro.   Non si tratta di una guerra tra utenti deboli e forti. Abbiamo bisogno di una prospettiva olistica. Dove abbiamo bisogno delle automobili perchè vanno bene per la società, dovremmo usarle. Ma nei posti dove sono superflue, dovremmo usarle il meno possibile.   Sembra che abbia messo la Svezia su un piedistallo e che ogni cosa da noi sia fantastica. Naturalmente, non è vero. Anche noi dobbiamo affrontare delle difficoltà per ottenere dei risultati, Ma forse lavoriamo su un diverso ordine di grandezza delle cose.     Articolo originale: The Swedish Approach to Road Safety: ‘The Accident Is Not the Major Problem’

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