La legge di Stabilità mette in campo un miliardo in cinque anni per un piano di investimenti finalizzato all'acquisto di nuovi autobus: l'obiettivo è recuperare la qualità del parco circolante, perché in Italia gli autobus hanno raggiunto un'età media di 12 anni rispetto ai sette anni medi dei principali Paesi Ue
Da Lecco a Bergamo, da Pavia a Brescia, in Lombardia si stanno già facendo i conti sul rischio aumenti per biglietti e abbonamenti del trasporto pubblico locale: a Milano si è accesa la polemica fra il Comune, che accusa la Regione di aver tagliato 17 milioni di euro nell'anno dell'Expo, e il Pirellone, che ribatte di aver messo mano al portafoglio per compensare il più possibile la scure arrivata dalla legge di Stabilità. In Campania le modifiche al sistema tariffario stanno agitando i comitati dei pendolari; in Piemonte, dove negli anni scorsi la crisi finanziaria della Regione ha messo in ginocchio molte aziende di trasporto locale per i mancati pagamenti, si raccolgono firme contro la soppressione di alcune linee di autobus che già stanno sostituendo i treni mandati in pensione perché non più sostenibili dal punto di vista economico. Per il trasporto pubblico locale questo dovrebbe essere l'anno della svolta, grazie al fondo da un miliardo di euro in cinque anni che la legge di Stabilità mette sul piatto per rinnovare una flotta di autobus parecchio invecchiata negli anni di assenza degli investimenti. Si tratta di un passaggio non da poco, come mostrano i dati dell'Asstra (l'associazione delle imprese del trasporto pubblico locale) che indicano in 12 anni l'età media nei nostri autobus contro i sette anni medi registrati in Europa. Questa mossa si accompagna all'apertura effettiva del cantiere dei costi standard, che dovrebbe trasformare la distribuzione del fondo statale (circa 5 miliardi di euro). Questa ricca agenda di novità arriva però mentre il trasporto pubblico si trova di nuovo al centro di interrogativi a catena sulle risorse, come appare inevitabile se si incrociano due dati: le entrate del trasporto pubblico poggiano per il 57% sulle "compensazioni", cioè sul finanziamento pubblico, e in questo ambito il peso delle Regioni è superiore a quello dello Stato. Ovvio, allora, che le spending review regionali si facciano sentire prima di tutto nei dintorni di autobus, tram e ferrovie locali. I viaggiatori se ne sono accorti negli anni scorsi in due modi, registrati puntualmente dall'ultimo rapporto Hermes-Asstra sulla mobilità: con la riduzione dell'offerta (il numero di corse assicurate dal sistema è diminuito del 4,5% in tre anni) e l'incremento del prezzo di biglietti (aumentati in media del 30% tra il 2011 e il 2014) e abbonamenti (+11% nello stesso periodo). A conferma del ruolo centrale giocato dalle Regioni nel trasporto pubblico c'è il fatto che questi dati medi nascondono dinamiche territoriali molto diverse fra loro e registrano i numeri più preoccupanti proprio nelle aree in cui i servizi sono più deboli. Al Sud, per esempio, la flessione delle corse (in termini di chilometri erogati) è stata in tre anni del 10,4%, contro il -2% del Nord-Ovest. E ora la giostra delle difficoltà ricomincia a girare, dalle polemiche già partite sulla costiera amalfitana per la revisione tariffaria della Sita, la compagnia degli autobus della zona, fino a Reggio Calabria, dove i pullman venerdì si sono fermati perché non hanno l'assicurazione.