L'approfondimento di Marco Ponti e Francesco Ramella per Lavoce.info

Se i pendolari non sono tutti uguali

Se i pendolari non sono tutti uguali

Il rapporto di Legambiente sui pendolari è lodevole e ricco di informazioni. Peccato che si occupi solo di chi si sposta in treno. E che consideri come positivo qualsiasi aumento dell’utenza, anche quando richiede elevati sussidi. Senza contare gli effettivi benefici ambientali e distributivi

Il rapporto “Pendolaria 2014” di Legambiente è sicuramente un documento lodevole e straordinariamente ricco di informazioni. Tuttavia, l’analisi si occupa di una frazione molto piccola dei pendolari, ossia quelli che si spostano con il mezzo ferroviario: il 13 per cento del totale, se per “pendolare” si intende chi cambia giornalmente comune per ragioni di studio o lavoro. Non sarebbe stato meglio chiarirlo ai lettori? E non sarebbe stato meglio estendere, almeno per sommi capi, l’analisi a tutti i pendolari, dei quali circa il 22 per cento si sposta in autobus o metropolitana e il 65 per cento in auto?  Una importante novità è che per la prima volta il rapporto esplicita che questi pendolari pagano molto poco, cioè generano un peso elevato sui bilanci pubblici, sottraendo risorse ad altri servizi sociali. Si può stimare che il 70 per cento dei loro costi sia a carico della collettività, la maggior quota europea, ma questa stima non è stata evidenziata nel rapporto. I pendolari in auto, invece, garantiscono allo Stato rilevanti risorse con tasse e accise sui carburanti.    Pendolaria 2014, poi, approfondisce molto l’importante questione del taglio ai sussidi e dell’aumento delle tariffe, ma mai quella relativa agli elevati costi di produzione dei servizi ferroviari: per esempio si stima che il costo del lavoro sia almeno del 30 per cento maggiore rispetto a mansioni simili nel settore privato. Sembra così potersi dedurre che l’unica strada per migliorare le condizioni dei viaggiatori sia quella dell’aumento dei sussidi o della riduzione delle tariffe, e non siano invece possibili riduzioni dei costi di produzione, come per esempio è avvenuto nel trasporto ferroviario locale in Germania quando si sono fatte gare vere per piccoli lotti.   Non sarebbe stato meglio porre maggiormente in luce anche questa dimensione del problema? Emerge anche un giudizio implicito sulle diverse regioni: chi più sussidia e meno taglia è più virtuoso. Siamo sicuri che non esistano priorità sociali più urgenti della mobilità? In più, alcune realtà locali (la provincia di Bolzano, mai abbastanza lodata dal rapporto) godono di trasferimenti dallo Stato del tutto eccezionali, tanto da sussidiare persino l’edilizia privata.    Una valutazione come quella di Pendolaria si fonda sull’assunzione implicita che qualsiasi incremento di utenza debba essere considerato come positivo, anche qualora derivi dall’aumento dell’offerta o da una riduzione delle tariffe e, al contrario, un suo calo costituisca sempre un’evoluzione negativa.   È un presupposto che però sembra privo di ragionevolezza laddove il servizio non viene prodotto su base commerciale, ma gode di elevati contributi pubblici. L’entità dei contributi dovrebbe essere confrontata infatti con i benefici sociali che ne derivano, di cui i due maggiori sono sicuramente quelli connessi alla distribuzione del reddito e alla riduzione delle esternalità negative del modo stradale (ambiente e congestione).   I BENEFICI PER L’AMBIENTE   Iniziamo a considerare questi ultimi. Proprio dove l’utenza dei servizi è più limitata e i sussidi per passeggero trasportato maggiori, ossia sulle linee a scarso traffico, i benefici esterni sono più modesti, sia in termini di riduzione delle emissioni e dei consumi, che di congestione evitata. Più volte nel rapporto di Legambiente viene quantificata la riduzione della CO2 prodotta dalle auto che si potrebbe conseguire se l’utenza dei servizi ferroviari aumentasse. Dove le linee ferroviarie hanno un ruolo importantissimo nel ridurre congestione ed esternalità, cioè in prossimità dei centri maggiori, anche con le attuali basse tariffe italiane e la loro modesta efficienza, richiedono assai pochi sussidi, dato il buon livello di utilizzazione.    Proviamo ora a confrontare il costo per la collettività di un servizio ferroviario su una linea secondaria e i benefici in termini di minori emissioni. Il sussidio si attesta oggi intorno agli 11 €/treno-km. Ipotizziamo, con un certo ottimismo, che la frequentazione media dei convogli su una ferrovia locale a scarso traffico sia pari a 100 passeggeri (sulle linee chiuse negli scorsi anni in Piemonte la frequentazione media era pari a 37 persone per corsa) e che, qualora il servizio venisse soppresso, ciascuno di loro scegliesse l’auto (molti, in realtà opterebbero per l’autobus).   Considerato che le emissioni medie delle auto in Italia si attestano oggi intorno ai 130 g/km, le emissioni aggiuntive, ipotizzando un coefficiente di occupazione pari a 1, sarebbero pari a 13 kg per ogni km di servizio non più effettuato. Assumiamo in via prudenziale un costo per tonnellata di CO2 emessa pari a 100 euro (il livello massimo di lungo periodo del costo sociale valutato dalla Commissione Europea, che si colloca molto al di sopra dei valori proposti dalla maggioranza degli studi internazionali). Con questa assunzione, la riduzione del costo esterno correlato alle emissioni di CO2 risulterebbe pari a circa 1,3 euro a treno-km (13 kg /treno-km * 100 €/t CO2 / 1.000), ossia inferiore al 15 per cento del sussidio (trascurando i costi per la manutenzione della linea). In questo caso specifico, ma anche in quello delle metropolitane (di cui, correttamente, il rapporto evidenza la minor dotazione dell’Italia rispetto alla media europea), i benefici ambientali rappresentano quindi una quota molto modesta dei sussidi.   Peraltro, nel lungo periodo, l’evoluzione delle emissioni è strettamente correlata all’evoluzione tecnologica dei veicoli e solo marginalmente influenzabile da una diversa ripartizione modale della mobilità.   Tra il 2007 e il 2013, le emissioni di CO2 medie delle auto immatricolate in Europa si sono ridotte del 20 per cento: per ottenere “a regime” la stessa riduzione di emissioni totali, la ferrovia dovrebbe sottrarre all’auto una quota di mobilità pari al 16 per cento, ossia quadruplicare l’attuale domanda.
Non è dunque possibile presumere, senza una previa analisi costi-benefici, che “più sia meglio” ed è verosimile che, in molti casi, il taglio dei servizi sia socialmente desiderabile anche in considerazione del fatto che, come evidenziato da una recente analisi dell’Fmi, in media, il prelievo fiscale sull’auto copre già interamente le esternalità prodotte.   E LE RICADUTE SOCIALI   Quanto al secondo obiettivo dei sussidi, quello distributivo, sarebbe opportuna una assai più attenta valutazione delle ricadute sociali dell’uso di risorse pubbliche a favore del trasporto ferroviario. Anche alla luce del fatto che la parte largamente prevalente dei pendolari che usano il treno sono impiegati e soprattutto studenti che si dirigono verso le aree centrali delle maggiori città, mentre categorie con redditi del tutto paragonabili, come operai e artigiani, e più in generale chi effettua spostamenti in aree periferiche e lungo percorsi “tangenziali” spesso non ha alternativa all’uso dell’auto, come confermato da una ricerca del Censis del 2008 (“Pendolari d’Italia”). E, come evidenziato dall’Istat, le imposte sui carburanti hanno carattere di regressività, ossia colpiscono maggiormente i redditi bassi: la quota di spesa per benzina e gasolio rappresenta infatti in media il 5,5 per cento del totale per il primo e il secondo quintile della popolazione e si riduce progressivamente fino al 3,8 per cento del quintile più ricco.
Confidiamo che tali elementi di giudizio, a nostro avviso essenziali, saranno inseriti nel rapporto del prossimo anno.   Figura 1 – Spesa mensile sostenuta per gli spostamenti pendolari

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