Migliaia di chilometri di ferrovie dismesse, costruite nel corso del Novecento e abbandonate in nome della velocità. Potrebbero favorire il turismo e dare ossigeno all’economia, se riattivate, o essere trasformate in percorsi pedonali e ciclabili tra paesaggi mozzafiato
L’8 marzo, si è celebrata l’ottava edizione della Giornata nazionale delle Ferrovie Dimenticate (www.ferroviedimenticate.it) promossa dalla Confederazione della mobilità dolce (Co.mo.do), ne parliamo con il presidente Massimo Bottini. Come nasce l’idea di Ferrovie Dimenticate? Nel 2008, quando tredici persone decisero di richiamare l’attenzione sulle tratte ferroviarie abbandonate promuovendo la prima giornata delle Ferrovie Dimenticate. Percorremmo il tratto Milano-Roma, attraverso treni locali, regionali, alternando a percorsi di media lunghezza altri brevi, scendevamo nelle piccole stazioni per salire su un treno che ci portava in una grande stazione. Esordimmo con questa provocazione, impiegammo in tutto 42 ore, circa due giornate e mezza, fu la prima maratona ferroviaria d’Italia e attraverso questa esperienza comprendemmo quanto mondo ci fosse intorno ai piccoli tratti ferroviari. Era un anno in cui si esaltava l’alta velocità e tutti non facevano altro che parlare di treni superveloci, di tempi dimezzati, noi volevamo dimostrare che si poteva viaggiare anche con lentezza. I tredici matti della prima edizione sono diventati 30 mila alla settima edizione dell’anno scorso con la partecipazione a più di cento appuntamenti. Quest’anno dal 2 al 4 marzo abbiamo fatto in treno Rimini-Lecce, uno dei rari percorsi in Europa in cui le ferrovie costeggiano il mare per centinaia di chilometri. Potreste sembrare dei nostalgici del treno a vapore? In realtà nel 2008 volevamo richiamare l’attenzione sui 5700 km di ferrovie dismesse, oggi sono diventati 7 mila km. Si tratta di reti che hanno avuto una storia nel nostro paese e che se riattivate possono costituire un riscatto economico per quelle realtà territoriali soffocate dalla crisi economica. Recuperare reti ferroviarie non significa solo attivare un processo economico, ma anche sociale e ambientale, vi sono in Italia frammenti ferroviari che si adagiano sulla natura, penso a quello di Porto Empedocle in Sicilia, il tratto Merano-Malles, che consente al Trentino– Alto Adige di promuovere il cicloturismo con annessi autobus che fanno il servizio trasporto con bici. L’ex tratto ferroviario Spoleto-Norcia oggi costituisce un lungimirante esempio di greenway. Se i posti belli perdono il collegamento ferroviario, il paesaggio sarà deturpato dai pullman e dai caselli autostradali. Quelle citate sono isole felici? Il tratto Foggia-Lucera, prima abbandonato, oggi è stato riconvertito in linea ferroviaria. In Puglia esiste un collegamento ferroviario ultramoderno tra l’aeroporto di Bari e la stazione ferroviaria. La nostra battaglia non riguarda solo il passato, ma anche la modernità, certo bisogna recuperare la rete ferroviaria costruita dalle generazioni passate, che aveva una sua importanza. Sui convogli ferroviari di tratti paesaggistici belli è anche più facile comunicare, fare conversazione, osservare la natura dal finestrino, i telefonini scompaiono dalla scena e le persone parlano più volentieri tra loro. Gli enti locali come percepiscono le vostre proposte? Siamo vissuti come quelli che amano i trenini del passato, ma il piano della mobilità dolce presentato da Co.mo.do ha la stessa dignità delle grandi opere, che però deturpano il paesaggio, le nostre proposte, invece, tendono al recupero delle reti ferroviarie dismesse e si integrano con il paesaggio. Il censimento delle opere ferroviarie abbandonate, caselli e stazioncine, che rappresentano le vetrine del paesaggio, rientrano in un bene comune che va riattivato. Siena è una città che ha investito molto sulla via Francigena, che richiama molti camminatori, vi è stato un ruolo attivo anche della Regione Toscana, tutto questo ha un riflesso economico, ma a Siena che emerge con la sua bellezza sulle colline non c’è un casello autostradale, è facilmente raggiungibile con il treno. Riattivare piccole reti ferroviarie significa dare il segnale ad alcuni centri abitati di non sentirsi perduti. Quando ci fu il terremoto a L’Aquila, i primi soccorsi arrivarono grazie alla ferrovia. Quali riflessi possono avere sul territorio le vostre proposte? La maggior parte delle tratte dismesse italiane si trova in territori paesaggisticamente e artisticamente di grande valore con un’economia artigianale e agricola di pregio, depositaria di antichi saperi, unico deterrente contro la scomparsa di quel paesaggio, ma vi è il pericolo di una “desertificazione” comunitaria. Oggi internet permette ai piccoli imprenditori di far conoscere e di vendere le proprie eccellenze al mondo globalizzato, la possibilità di visitare i luoghi di produzione attraverso il ripristino di alcune tratte ferroviarie porterebbe in quei territori il turismo responsabile, rispettoso del luogo, interessato e colto, in tal modo si comporrebbe un sistema di attività di contorno capace di creare altra economia. Le reti ferroviarie che non si possono più riattivare come possono essere utilizzate? Nel nostro Paese la lunghezza delle ferrovie dismesse ammonta ad oltre 7000 km, se si aggiungono 2500 km di strade lungo gli argini dei fiumi e dei canali, 1500 km di tronchi stradali dismessi e diverse migliaia di chilometri di sentieri, mulattiere, tratturi di interesse storico e culturale, abbiamo oltre 10.000 km di una potenziale rete nazionale di mobilità dolce, sicura e protetta rispetto ai veicoli a motore, accessibile a tutti, bambini, anziani, famiglie, diversamente abili, ove si possono fare passeggiate a piedi, andare in bicicletta, andare a cavallo o con i pattini. L’obiettivo di Co.Mo.Do. è di rendere questa rete fruibile sui modelli di quello che stanno facendo in altri paesi europei come la Spagna, il Regno Unito, il Belgio, la Francia. Quali politiche promuovono? La Spagna con il progetto Vías Verdes, sostenuto dalla compagnia ferroviaria nazionale, ha recuperato in pochi anni 1200 km di ferrovie abbandonate. Le Vías Verdes sono tra le mete turistiche più richieste del Paese e hanno ottenuto il riconoscimento dalle Nazioni Unite per avere la prerogativa di migliorare la qualità della vita. In Francia sono state attivate le Voies Vertes lungo le sponde dei fiumi e dei canali. La ciclabile della Loira, attraverso la regione dei castelli, attira ogni anno migliaia di turisti che pedalano lungo i tratti che collegano i castelli, sono persone che abbandonano l’auto per la bicicletta. La Voie Verte della Borgogna, fra i vigneti e l’abbazia di Cluny, viene usata ogni domenica da centinaia di parigini che grazie alla possibilità di trasportare la bicicletta sul TGV possono raggiungere la regione, distante 250 km da Parigi, in un’ora. Lungo la Costa Azzurra si sta portando a termine una pista ciclo-pedonale che consentirà ai bagnanti di raggiungere le spiagge senza usare l’auto, buona parte del percorso si sviluppa lungo la vecchia ferrovia del litorale. Nel Regno Unito si sta realizzando per opera di Sustrans (Sustainable Transport) la Rete Ciclabile Nazionale (National Cycle Network) utilizzando ferrovie abbandonate, strade arginali, percorsi secondari. Migliaia di volontari collaborano e mantengono in ordine i percorsi, la loro stima è che per ogni sterlina investita nella costruzione di piste ciclo-pedonali, il ritorno, in termini di benefici economici è di almeno 20 sterline. In questo modo è stato possibile promuovere il programma Safe Routes to Schools (A scuola su strade protette). In Belgio c’ è il progetto RaVel (Réseau des Voies Lentes) che promuove il recupero di circa 5000 km di ferrovie dismesse, conservando la testimonianza del treno, stazioni, ponti, gallerie ecc. In questo modo la via verde diventa una sorta di museo ferroviario all’aria aperta. La rete RaVel nella regione della Vallonia è equiparata per legge alle altre reti infrastrutturali, autostrade, strade, ferrovie, e gode degli stessi finanziamenti per lo sviluppo e la manutenzione.