Il governo prepara la riforma dei servizi di trasporto locale che saranno affidati con gare aperte anche a privati. L’obiettivo è ridurre i contributi pubblici, ma risanare le inefficienze e migliorare i servizi non sarà facile
Un «caso difficile». Quando era commissario governativo per la “spending review”, Carlo Cottarelli non si era nascosto. Nei documenti ufficiali pubblicati a settembre scorso con tutte le proposte elaborate dai suoi esperti per ridurre la spesa pubblica, quello dei trasporti locali – autobus, metropolitane, treni per pendolari – era bollato fin dall’inizio con parole che facevano trasparire un certo sconforto: un «caso difficile», appunto.
Oggi però, proprio nei giorni in cui i disservizi dell’azienda che gestisce i mezzi pubblici di Roma, l’Atac, sono finiti sui quotidiani di mezzo mondo, a Palazzo Chigi la riforma dei trasporti locali sta per tornare d’attualità. Cottarelli ormai da novembre è tornato al Fondo monetario internazionale, dove già lavorava fino al 2013, quando si trasferì a Roma chiamato da Enrico Letta. Il suo posto è stato preso da uno dei consiglieri economici più stretti del premier Matteo Renzi, il deputato Yoram Gutgeld. Il suo compito è arduo: deve individuare un modo per sforbiciare la spesa pubblica in misura rilevante, dieci miliardi nel 2016, altri ancora negli anni seguenti, in modo da rendere non velleitario il piano di riduzione delle tasse annunciato da Renzi nei giorni scorsi. Nei suoi rari interventi pubblici Gutgeld, che prima di entrare in politica lavorava come consulente alla McKinsey ed è considerato l’ideatore del bonus mensile da 80 euro per i lavoratori dipendenti lanciato dal premier, ha sempre professato fiducia nella possibilità di tagliare i costi della pubblica amministrazione, e di farlo colpendo gli sprechi, invece di ridurre i servizi. Certo è che in autunno, quando sarà completato il progetto di riforma, i trasporti pubblici rappresenteranno un bel banco di prova per le ambizioni sue e di tutti gli uffici governativi che ci stanno lavorando.
La rivoluzione in arrivo è coperta da riservatezza e ancora non si sa se troverà posto nella legge di stabilità, dove dovrebbero essere dettagliati i 10 miliardi di tagli, oppure se verrà avviata attraverso un provvedimento ad hoc.
Secondo quanto appreso da “l’Espresso”, tuttavia, il cambio di marcia si concretizzerà in tre diversi punti, i primi due di natura strutturale, il terzo più finanziario. Primo: le concessioni per gestire tram, bus e trasporti regionali dovranno essere affidate attraverso vere e proprie gare, dove abbiano una reale possibilità di presentarsi anche nuovi concorrenti. Secondo: cambierà il modo con cui verranno assegnati i contributi pubblici, con l’obiettivo di favorire una maggiore efficienza e premiare i miglioramenti del servizio. Infine il terzo principio, quello che riguarda gli aspetti finanziari: verrà rafforzata la possibilità per gli operatori di affittare tram e autobus da società di leasing, in modo che il possesso fisico dei mezzi non rappresenti un vantaggio troppo forte per i vecchi gestori, frenando la partecipazione alle gare e l’ingresso in scena di nuovi concorrenti. Basta un’occhiata al grafico riportato poco sopra per intuire quanto la riforma, se il governo avrà la forza di farla arrivare in porto mantenendo questi propositi, potrà essere dirompente. Tra i maggiori Paesi europei, infatti, il caso italiano spicca per due diversi fattori. I contributi pubblici versati da governo e enti locali alle aziende di trasporto valgono una torta enorme, circa 6,5 miliardi l’anno, e a parità di servizio offerto sono molto più elevati di quelli esistenti in Francia, Gran Bretagna, Spagna e Germania. E ancora: i costi operativi delle varie aziende municipalizzate – l’acquisto e la manutenzione dei bus, il carburante, gli stipendi di autisti e impiegati e così via – sono coperti dalla vendita dei biglietti in misura molto ridotta, in media appena il 32 per cento, mentre la Germania di Angela Merkel e Wolfgang Schäuble arriva a quasi tre volte tanto, l’83 per cento.
Ma c’è di più: le varie aziende che da Venezia a Torino, da Milano a Palermo trasportano i cittadini in giro per le città o le regioni dove abitano, sono dei nanetti rispetto a quelle che hanno lo stesso compito altrove. In Francia un colosso come Transdev ha un giro d’affari pari a otto volte quello della romana Atac, la più grande d’Italia, e opera con autobus, treni, traghetti, metropolitane e automobili in car sharing in numerosi Paesi del mondo, non soltanto nella patria d’origine. Il maggior operatore britannico, che si chiama First Group, dal 2007 ha rilevato la Greyhound, la mitica compagnia con i pullman grigi che attraversano tutti gli Stati Uniti d’America, e che qualche anno prima era finita in fallimento.
In Italia un processo di accorpamento è appena iniziato a livello locale e, a dispetto degli ingenti fondi pubblici a cui hanno accesso, molte società continuano a chiudere i bilanci in rosso, costringendo i Comuni o gli altri enti locali azionisti a fare i salti mortali pur di non farle fallire. Come si vede dalla figura, i cui dati sono tratti da un’indagine periodica condotta dall’Area Studi della banca d’affari Mediobanca, il caso della romana Atac svetta su tutti, visto che l’azienda capitolina ha accumulato negli ultimi otto anni perdite per ben 1,22 miliardi di euro, senza mai vedere un bilancio in pareggio. Ma le curiosità non mancano in ogni lembo d’Italia. Perché anche la veneziana Avm, che possiede il grande parcheggio di piazzale Roma e controlla la società dei vaporetti che si muovono nella laguna, a dispetto dell’enorme flusso di turisti che si riversa sulla città da tutto il mondo in ogni singolo giorno dell’anno, figura tra le società in perdita, avendo accumulato nel biennio 2012-2013 un buco totale di 20 milioni (prima era quasi sempre in pareggio).
Uno dei motivi per cui la situazione del settore è così disastrosa dipende dal fatto che, prendendo i contributi semplicemente per il servizio offerto sulla carta, molte aziende locali non si sono mai preoccupate di far pagare i biglietti agli utenti, cosicché il numero di furbetti è molto alto. Ora la riforma vuol affrontare questa grave mancanza, al fine anche di alleggerire il flusso di contributi pubblici che alimenta il sistema. Si vorrebbero invertire le regole con cui le concessioni vengono disegnate, mettendo al centro le esigenze dei viaggiatori: se l’azienda di turno sarà inefficiente, beccherà meno contributi. L’idea è anche quella di risparmiare, riportando in linea con la media europea la composizione dei ricavi delle società che forniranno i servizi: metà dovrebbe venire da fondi pubblici (dal 60 per cento e passa attuale), il resto dai biglietti.
Portare a casa questa vittoria, tuttavia, per il governo Renzi sarà arduo. Un problema è che le tariffe rischieranno di aumentare, come ha detto Cottarelli in una recente intervista: «Se necessario si possono dare dei sussidi agli utenti a basso reddito, ma non è possibile mantenere dei prezzi che non coprono i costi», ha spiegato.
Poi ci sono questioni più strettamente industriali. Se in teoria nuovi operatori, stranieri o italiani, privati o pubblici, nati magari dall’unione di diverse municipalizzate, potranno aggiudicarsi le gare per effettuare il servizio in una città dove prima non c’erano, le sfide che si troveranno davanti saranno impegnative. Un esempio viene da un’altra disastrata azienda del campione analizzato da Mediobanca, la Cotral, la società di proprietà della Regione Lazio che fornisce il collegamento tra la capitale e le altre province.
A pagina 135 dell’ultimo bilancio disponibile, relativo al 2013, c’è uno specchietto che mostra l’anno di immatricolazione dei 1.599 pullman in dotazione. Ce n’è uno del 1984, quattordici del 1987 e ben 344 del 1990. Nessuno è successivo al 2010. Se per ipotesi un nuovo operatore si aggiudicasse la gara e dovesse farsi carico delle attuali attività della Cotral, avrebbe ingenti investimenti da fare per rinnovare un parco mezzi molto costoso, sia in termini di carburante che di manutenzione. E ancora, come in tante imprese pubbliche, c’è una questione relativa al personale. Sempre nel 2013 Cotral ha dovuto sopprimere corse per un numero di chilometri pari all’8 per cento di quelli effettuati. Il motivo? In quasi quattro casi su cinque la mancanza di personale per «malattia, rinuncia agli straordinari, ritardi in servizio e assenze arbitrarie». Non solo i trasporti pubblici assorbono molti miliardi pubblici ma, a volte, il servizio può essere davvero pessimo. Cambiare si deve, dunque, ma riuscirci non sarà facile.