Il Tpl è alle prese con il dilemma "sicurezza anti covid" e "diretto alla mobilita". Il distanziamento sulle vetture riduce il numero dei viagiatori trasportati e li priva del diritto alla mobilità. Un'equazione che non sembra avere soluzione.
Da poche ore il nuovo DPCM che reintroduce nuove limitazioni nel tentativo di arginare la corsa del Covid-19 è in vigore e gli effetti non tardano a farsi sentire.
Fra le tante misure introdotte l’individuazione di un punto di convergenza fra le esigenze di tutela della salute è diritto alla mobilità pare impossibile.
Da un lato la raccomandazione del CTS (Comitato Tecnico Scientifico) di un ritorno alla soglia del 50% del coefficiente di riempimento di autobus e metropolitane, dall’altra la resistenza delle imprese Tpl (rappresentate da Asstra) che fanno presente i rischi che tale scelta comporterebbe per il trasporto pubblico in generale.
Con un documento preparato dal centro studi l'Associazione delle imprese del trasporto pubblico locale (ne da notizia l’edizione odierna del quotidiano economico “Il Sole 24 Ore) ha reso noti alcuni dati: in presenza di una riduzione ulteriore del valore del coefficiente di riempimento dei mezzi attualmente consentito (80%) – scrive Asstra – risulterebbe difficile per gli operatori del Tpl continuare a conciliare il rispetto dei protocolli anti Covid-19 e garantire allo stesso tempo il diritto alla mobilità per diverse centinaia di migliaia di utenti ogni giorno, con il conseguente rischio di fenomeni di assembramento alle fermate e alle stazioni.
L’Associazione stima infatti che solo nelle ore di punta rischierebbero di saltare da 90 mila (con capienza consentita al 75%) a 550 mila (con capienza ridotta al 50%) spostamenti al giorno. Un’ipotesi che priverebbe, di fatto, il diritto alla mobilità a migliaia di persone ogni giorno.
Nel documento Asstra rileva inoltre che la massa di utenti costretta a rinunciare al mezzo pubblico si riverserebbe sui mezzi privati con inevitabile congestione del traffico nelle medie e grandi città e un decremento della qualità dell’aria.
Al “disservizio pubblico”, aggiunge Asstra, si devono poi aggiungere il costo in termini di equilibri economico-finanziari per le aziende che Andrea Gibelli, numero uno dell’Associazione, ha già quantificato in 2 miliardi.