Trasporto pubblico, città in crisi: ecco perché scoppia il bubbone

Trasporto pubblico, città in crisi: ecco perché scoppia il bubbone

L'articolo di Massimo Franchi su L'Unità

Era solo questione di tempo. Il «bubbone» trasporto pubblico locale è scoppiato. E dopo Genova è facile prevedere altre proteste lungo tutta la penisola. La situazione drammatica del Tpl è lo specchio fedele del taglio dei fondi pubblici e della desertificazione industriale.

Nessun altro settore industriale ha subito un taglio così profondo dei finanziamenti pubblici. In tre anni si è ridotto di ben 1,4 miliardi: dai 7,7 del 2010 (a quel tempo era un semplice trasferimento) a 5,3 miliardi del 2012, ripartito dai quasi 5 miliardi statali e dagli 1,33 miliardi delle Regioni, competenti in materia. Se le Regioni hanno tagliato i servizi ferroviari, sono i Comuni a gestire il servizio su strada.   Secondo i dati presentati proprio giovedì al convegno della Filt Cgil le aziende del settore in rosso a fine 2013 saranno il 50 per cento. E l’escalation è impressionante: erano il 30 per cento nel 2011 e il 43 per cento nel 2012. Ci sono i buchi mastodontici dell’Atac (ben 319 milioni nel 2010) dovuti in buona parte alla Parentopoli di Alemanno, ci sono i tantissimi manager incapaci spesso provenienti dalla politica con stipendi milionari a pesare sui conti, ci sono i contratti di solidarietà o le cassa integrazioni fatte per far tornare un minimo i conti. «Il sistema è crollato e ogni sindaco se la gestisce come riesce». Ecco dunque i biglietti orari a due euro, il taglio delle corse, il mancato rimpiazzo degli bus.
C’è poi un record di cui andare poco fieri. Quello del trasporto locale è il contratto nazionale scaduto da più tempo: sei lunghissimi anni. Tanto che proprio giovedì il governo è finalmente corso ai ripari convocando i sindacati sia per il contratto (giovedì con il sottosegretario al Lavoro Carlo Dell’Aringa) e per affrontare i problemi del settore al ministero dei Trasporti. «Ma quello delle aziende municipali è un piccolo problema rispetto all’altro bubbone che sta per scoppiare», spiega Sergio Vetrella, assessore ai Trasporti in Campania e coordinatore del settore per la Conferenza delle Regioni. «Se le aziende municipali si possono privatizzare, noi Regioni abbiamo il vincolo europeo a indire le gare per i servizi su gomma e ferro. E con i tagli che stiamo subendo dovremo per forza ridurre fortemente il servizio con il rischio reale di tagliare anche la forza lavoro almeno del 10 per cento: sui 120mila addetti del settore significano almeno 12mila posti di lavoro. Ed è una stima ottimistica. E in più per questi lavoratori non è previsto alcun ammortizzatore sociale», conclude amaro.

A monte di tutto c’è però la chiusura sostanziale di tutte le fabbriche che producevano autobus in Italia. Se l’Irisbus Fiat di Valle Ufita (Avellino) è stata chiusa da Marchionne nell’estate del 2011 e non vede ancora alcun spiraglio per riaprire, la BredaMenarini di Bologna (proprietà Finmeccanica) produce con il contagocce. E quei pochi autobus che si riescono a sostituire, siamo costretti a comprarli all’estero. Quelle dei treni non stanno messe meglio. Ansaldo Breda è l’anello debole del settore civile di Federmeccanica. Proprio giovedì i sindacati denunciavano il rischio di 600 esuberi nello stabilimento di Pistoia. Insomma, il burrone dei conti e il deserto della produzione. E la certezza della protesta.

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