Tra prezzi che aumentano e servizi che diminuiscono a farne le spese sono i viaggiatori
Chi prende un treno tutte le mattine lo sa bene: l'unica certezza è partire e tornare a casa (forse). I tempi, quando si tratta di treni regionali, cioè quelli che su cui si sale per andare sul posto di lavoro, sono affidati al caso. «Il treno 10591 viaggia con 30 minuti di ritardo», riecheggia dall’altoparlante della stazione, e tu con la borsa in mano o lo zaino sulle spalle ti chiedi come sia possibile su una tratta il cui viaggio di minuti ne dura appena 45. Ci si è rassegnati, e chi deve essere con i piedi sotto la scrivania alle otto a trenta chilometri da casa prende il treno alle sei, due ore prima. Il vero lavoro è diventato il viaggio. Un po’ ovunque sono nati i comitati per i pendolari, da qualche parte hanno anche ottenuto dei risultati in termini di risarcimenti, ma la rassegnazione dei passeggeri è sentimento diffuso. Poche cose meglio dei numeri sono in grado di spiegare e mostrare la (brutta) situazione del nostro trasporto ferroviario, sia in termini di rapporto costo/benefici, sia in termini di collegamento della rete ferroviaria con i luoghi di interesse. Intanto l’Italia si muove a due velocità, come emerge dal Rapporto Pendolaria di Legambiente. Da una parte il successo di treni sempre più moderni e veloci che si muovono tra Salerno, Torino, Milano e Venezia (+13% tra il 2010 e il 2013) – con un’offerta sempre più ampia dei Freccia Rossa, non ultimo il nuovo collegamento tra la Stazione centrale di Milano e il sito di Expo 2015 – e dall’altra la progressiva riduzione (-22%) dei treni Intercity e dei collegamenti su tutte le altre direttrici nazionali (Adriatica, Tirrenica, Napoli-Bari, Jonica, ecc.), dove per i tempi di percorrenza sembra essere rimasti fermi agli anni Ottanta. Il risultato è che crescono i pendolari in Lombardia, Toscana, Puglia, Alto Adige dove si è investito e comprato treni, mentre crollano in Campana, Piemonte, Liguria. Nel 2014 si sono registrati 90mila passeggeri in meno al giorno. Il numero dei pendolari infatti, per la prima volta in dieci anni, registra flessioni per il terzo anno di seguito: La questione è solo in minima parte legata alla crisi economica, ma dipende proprio dai tagli effettuati in questi anni. In Campania, ad esempio, sono stati effettuati tagli complessivi del 19% al servizio dal 2010 ad oggi, con punte di -50% su alcune linee. La conseguenza è che ci sono 150mila persone in meno sui treni campani (sono 271mila contro i quasi 420.000 del 2009, -35,4%). Mentre in Piemonte i tagli al servizio pari a -7,5% dei treni per km e la cancellazione di ben 14 linee hanno portato a far scendere i viaggiatori da 236mila viaggiatori al giorno nel 2012 ai 203mila attuali. Ma non sono gli unici casi. Solo nell’ultimo anno in Liguria e Abruzzo si è passati rispettivamente da 105.000 a 94.000 viaggiatori al giorno e da oltre 23.500 a circa 19.500. Tra il 2009 e il 2012 si è assistito al paradosso per cui mentre i passeggeri aumentavano del 17% le risorse statali per il trasporto regionale su gomma e ferro si riducevano del 25 per cento. «Ed è questa», dicono da Legambiente, «una delle ragioni che ha portato il numero dei pendolari su ferro a diminuire nel corso dell’ultimo biennio». Tra il 2010 e il 2014 i pendolari hanno dovuto fare i conti con parecchie sorprese: taglio dei servizi (treni e corse) e aumento di biglietti e abbonamenti. Solo nel corso del 2014 i tagli ai servizi hanno visto esempi drammatici come in Calabria, regione con un servizio già fortemente deficitario, dove hanno aggiunto un altro -8% dei treni totali, e in Umbria con un taglio del 2,8% esclusivamente sulle linee gestite da Umbria Mobilità. Intanto, il costo dei biglietti è lievitato. Nel corso del 2014 l’aumento più consistente ha riguardato la Calabria con un +20% e un servizio sempre più carente sia in qualità sia in quantità dei treni circolanti. Ma il prezzo è cresiuto anche in Piemonte del 47%, in Abruzzo del 25%, in Toscana per oltre il 21% (ma con tariffe scontate per i redditi bassi), nel Lazio del 15% e in Liguria del 41% rispetto al 2010. «È giusto dire – sottolinea il rapporto Pendolaria» che il costo rimane più basso rispetto alla media europea. Ma la differenza più forte resta comunque nella qualità dei servizi. A livello statale la riduzione dei finanziamenti è stata costante in questi anni, con una diminuzione delle risorse nazionali stanziate nel triennio 2010-2012 pari a -22% rispetto al triennio precedente 2007-2009. Da allora nulla è cambiato. Con la legge di stabilità 2015 del governo Renzi sono stati ridotti ulteriormente i trasferimenti complessivi dallo Stato alle Regioni. Il futuro che si prospetta non è per niente roseo. Il risultato è che i viaggi su treno complessivi ogni anno in Italia (854 milioni) sono ben lontani rispetto a quelli di altri Paesi direttamente confrontabili con il nostro come il Regno Unito (1.600 milioni di viaggi ed in continua espansione) e inferiori di oltre un terzo a quelli effettuati in Germania. Stesso risultato si ha se si prendono in considerazione i passeggeri/km annui, dato che evidenzia il numero di persone trasportate in rapporto alla lunghezza dello spostamento. L’Italia si ferma a 47,7 miliardi contro i 61,9 del Regno Unito e gli oltre 90 miliardi di Francia e Germania