Francesco Nurra racconta la propria esperienza di disabile e le falle del testo del Manifesto della Mobilità Nuova. E ricordare al mondo che nel 2007 l’Italia ha firmato una Convenzione dell’Onu sui diritti delle persone con disabilità, e che “se migliorassero le condizioni dell’ambiente circostante, i disabili potrebbero creare ricchezza economica e umana per la società”
“Quello che tenterò di fare in questo testo non è certo un’impresa facile: scriverò sulla Nuova Mobilità, su alcuni punti della Convenzione Onu dei diritti delle persone con disabilità e su come queste intenzionalità si applichino sulla mia vita quotidiana di persona con disabilità”. Parte così, da questa premessa, la lettera che il disabile Francesco Nurra ha inviato il mese scorso ad alcune redazioni e testate italiane – Wired su tutte – e che riportiamo dedicandole la nuova uscita di #ugualmentemobili. Poco più di 130 righe per raccontare la sua condizione di disabile alle prese con le difficoltà della vita di tutti i giorni, per la prima la mobilità. “Mi sono da poco trasferito da Sassari a Bologna per studiare all’Università – continua Nurra su Wired – avevo molte aspettative per quanto riguarda l’accessibilità connessa alla disabilità, ma sono state in gran parte deluse. Qualche giorno fa, proprio a Bologna, dal 10 al 12 aprile, si sono svolti gli Stati Generali della Nuova Mobilità, ma ho scoperto con rammarico che non sono state invitate come relatrici (ma solo previsti, da quanto appreso dalla locandina dei lavori, possibili interventi di associazioni e persone con disabilità in un tavolo di discussione) associazioni o cittadini/e con disabilità. Perché non è un argomento meritevole di un tavolo apposito o di qualche attenzione in più? Forse è un riflesso sulla realtà di ciò che, a livello teorico-concettuale, si può leggere sul Manifesto della Mobilità Nuova. La mobilità non è solo qualcosa che – cito dal Manifesto- “ruota attorno a quattro perni: l’uso della bici; l’uso delle gambe; l’uso del tpl e della rete ferroviaria nazionale; l’uso occasionale dell’auto (car sharing, car pooling, taxi)” ma anche qualcosa che tenga in considerazione un tipo di movimento non conforme a queste quattro aspettative? Perché in questo Manifesto e nel disegno di legge proposto per la Nuova Mobilità non viene dato neanche un minimo risalto alla questione? Come al solito si tende a mettere la questione disabilità sullo sfondo, come se fosse qualcosa da evitare perché scoccia le coscienze e i tranquilli sonni degli amministratori comunali. Dal punto di vista comunicativo c’è proprio una falla sull’argomento, non viene neanche lontanamente citata la parola “accessibilità” o “disabilità” o “persone con disabilità”. Purtroppo mi duole ricordare che la disabilità è anche potenziale: si può cadere, farsi male e finire su una sedia a rotelle oppure si può scoprire di avere una qualche malattia degenerativa, perciò dovrebbe essere qualcosa che sta a cuore anche a chi per il momento la disabilità non l’ha neanche sfiorata. Memento disabiliri: ricordati che potresti anche tu un giorno incappare nella disabilità e quel giorno maledirai la tua indifferenza sull’argomento. Contemporaneamente, in questi mesi, ci sono i Cantieri Bobo a Bologna, un progetto ambizioso di rifacimento delle vie principali della città. Questo progetto di modernizzazione terrà conto anche delle diverse disabilità? Per esempio, chi è non vedente, potrà avere accesso ad un percorso tattile? Chi viaggia e vive su una carrozzina si troverà ad affrontare le consuete barriere architettoniche o gli scivoli pericolanti che dovrebbero essere stati costruiti proprio allo scopo di abbattere le stesse barriere architettoniche? Dal mio punto di vista, abitando poi in centro, mi ritrovo a dover fare, stando sulla mia sedia a rotelle, delle strade obbligate o addirittura pericolose, perché molte volte devo andare per strada invece di stare sul marciapiede. Pensavo fosse davvero una città a misura di carrozzine, invece mi devo sempre aggiustare fra i percorsi ad ostacoli che offre questa piccola metropoli. Non sembra una città toccata da un PEBA, che non è un animale mitologico, ma un Piano Eliminazione Barriere Architettoniche e non dubito ci siano persone capaci che possano farlo; per far capire ai non addetti ai lavori che significa PEBA: il piano di abbattimento è un progetto che richiede tempo e capacità e serve per liberarsi dall’annoso problema delle barriere dopo aver tracciato una mappa dettagliata di tutte le barriere presenti in città. Diciamo che per me sarebbe molto comodo uscire da solo (sì perché può risultare difficile viaggiare in solitudine) e non dover trovare ostacoli sulla mia strada. La mia credo sia la storia comune di una persona con disabilità motoria e su una sedia a rotelle, sicuramente altri tipi di disabilità avranno ancora altri tipi di problemi; tutto questo perché l’Italia, scriviamocelo francamente, rispetto ad altri Paesi d’Europa è indietro rispetto a molte questioni e risulta essere ancora un ambiente inospitale per le persone con disabilità. Ci sono molte buone intenzioni e parole, ma i fatti procedono a rilento. Una persona con disabilità sa che ci sono dei buoni propositi e promesse, ma li vede continuamente disattesi e smentiti dalla realtà. Per esempio, nel lontano anno domini 2007, l’Italia ha firmato una Convenzione dell’Onu sui diritti delle persone con disabilità (nel 2009 l’ha ratificata). Se avete un po’ di tempo, rimando alla lettura del testo originale della Convenzione. Per quanto mi riguarda, in relazione a questa Convenzione, che cosa c’è di applicato alla mia vita quotidiana? Poco e non abbastanza. Secondo la mia modesta opinione, bisogna partire dal concetto di vita indipendente, in tutte le sue declinazioni e con una accezione più larga. La vita indipendente consiste nel poter scegliere cosa fare della propria vita in un ambiente accogliente, consiste nell’autodeterminare le proprie scelte con l’aiuto prezioso dell’assistenza di varia natura (per assistenza alla persona con disabilità si intende solitamente quella personale e/o didattica e/o sessuale) all’interno di un ambiente privo di barriere mentali, architettoniche, fisiche e culturali. Ma tutto ciò non accade con l’aiuto del Paese Italia; da buon italiano ho imparato l’arte di arrangiarsi in ogni forma, sono specializzato in quella materia chiamata problem solving perché costretto dalle circostanze sfavorevoli, ma sogno un giorno in cui tutto questo finirà, un giorno in cui le persone con disabilità riceveranno ciò che gli spetta (non dei privilegi) in maniera naturale e non con una filosofia pietista che opera quasi per una concessione data dall’alto, come quando si dà lo zuccherino ai cavalli perché sono stati bravi e buoni. Da quando sono a Bologna mi accorgo di quanto sia difficile per una persona con disabilità grave come me, cercare di sopravvivere da sola. Ci sono delle grosse spese da sostenere e se non mi fossi mosso con un piccolo fondo di risparmi accumulati negli anni grazie alle pensioni di invalidità e accompagnamento non ce l’avrei fatta; questo perché abbiamo un welfare ancora imperfetto e per come la vedo e la vivo io, si tende ad utilizzare il criterio economico a discapito del criterio medico e del reale bisogno. Per esempio, qui a Bologna, mi ritroverò probabilmente a non poter fare nessuna seduta di fisioterapia, perché non viene concessa o ne viene concessa pochissima, nonostante sia prescritta dai medici per la mia patologia; come è possibile? Un altro esempio è quello della carrozzina elettrica: ogni sei anni, chi ha una carrozzina elettrica pagata dall’asl può prenderne una nuova, ma sembra non essere così a Bologna, dato che più di una volta dall’asl mi è stato prospettato di ricevere una carrozzina dal magazzino (e quindi usata immagino) o addirittura di far aggiustare la mia carrozzina vecchia; l’ultima cosa è la più irrealizzabile poiché, nel caso, è di competenza della asl di Sassari. È giusto risparmiare sulla pelle di chi utilizza questi ausili per vivere? La Convenzione Onu parla anche del diritto all’istruzione, un’istruzione senza barriere e garantita per tutti. Su questo ho trovato alcuni ostacoli. Mi sono iscritto ad un corso di laurea magistrale all’università, ma vorrei anche studiare al Conservatorio. C’è un piccolo problema: ci sono delle rampe di scale e perciò le aule non sono assolutamente accessibili per le carrozzine; credo che, nonostante sia un edificio storico, debba abbattere le sue barriere per l’obbligo di accessibilità che hanno tutti gli edifici pubblici. Non ho ancora ricevuto nessuna risposta dal Conservatorio di Bologna su questo, dopo alcune mail. A volte, per quanto riguarda me, il rapporto con la società, è come guardarsi in uno specchio che deforma il riflesso della propria immagine, forse occorre comprarne uno nuovo che funzioni bene e rispedire al mittente quello non funzionante; cioè si rischia, a causa del diritto ad una vita dignitosa negato, di vedersi in maniera distorta e di autoinfliggersi e sentirsi inflitta una segregazione di cui non si sente il bisogno. I contenuti e le linee programmatiche per fare questo ci sono già in quella Convenzione, a che punto è l’Italia? Vivo sulla mia pelle l’incertezza dei diritti, di fondi a volte inesistenti o non strutturali e perciò soggetti a variazioni e a volte addirittura azzeramenti totali, cioè so che ciò che c’è non basta, ma potrebbe in futuro non esserci, potremmo chiamarla l’epoca dell’incertezza dei diritti: oggi un po’, domani forse. Per capirci bene, faccio un esempio, citando Handylex.org: “L’altro Fondo dalle sorti alterne è quello per le non autosufficienze istituito nel 2006 al fine di garantire l’attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni assistenziali da garantire su tutto il territorio nazionale con riguardo alle persone non autosufficienti”. Dopo un finanziamento iniziale (2007) di 300 milioni (400 per i due successivi), il fondo è rimasto azzerato per due annualità (2011 e 2012), ripristinato per il 2013 (275) e confermato per il 2014 (350 milioni). Nonostante lo stanziamento sia comunemente considerato inadeguato ed insufficiente alla copertura delle acclarate esigenze delle persone e delle famiglie, il disegno di legge originario prevedeva una riduzione di 100 milioni di euro, relegando il Fondo ad un ammontare di di 250 milioni di euro. Contro tale riduzione si sono sollevate diffuse proteste e prese di posizione anche politiche oltre che associative che hanno spinto il Governo ad individuare nuove risorse aggiuntive. Il comma 159 del primo articolo della legge di stabilità approvata fissa a 400 milioni l’importo per il 2015, ma indica in soli 250 milioni la destinazione per gli anni successivi. Sofia Righetti, ragazza disabile e studentessa all’Università di Bologna, nel suo talk al TED di Verona ha detto che se migliorassero le condizioni dell’ambiente circostante, i disabili potrebbero creare ricchezza economica e umana per la società, ma per farlo devono sussistere le condizioni affinché ciascuno esprima le proprie potenzialità. La penso esattamente come lei e spero che questo possa essere uno spunto in più rispetto a ciò che ho scritto qua.