Un milione e cento mila euro possono sembrare poca cosa per un ente, come la Regione, che ha un bilancio di 12 miliardi. Invece possono rappresentare un macigno per chi – già con il fiato corto – ha imposto una feroce cura dimagrante, cesellato tagli e riduzioni e ora si trova a dover tirare fuori altro denaro per mettere una pezza a errori del passato. Riportiamo l'approfondimento di Andrea Rossi per La Stampa
La Regione Piemonte nel 2015 ha ridotto i fondi di 27 milioni, imponendo una stretta notevole, e ora dovrà pagarne al Comune 1,1 per rimpinguare le risorse tagliate nel 2013. Un braccio di ferro che ha segnato i quattro anni di coabitazione tra l'ex governatore Cota e il sindaco Fassino: in piazza Castello sforbiciavano il bilancio (spiegando che lo Stato aveva ridotto i fondi e non si poteva fare altrimenti), in piazza Palazzo di Città si rivolgevano ai tribunali e spesso ne uscivano vincitori. È andata così anche stavolta: venerdì il Tar ha stabilito che i tagli imposti nel 2013 sui fondi per far funzionare la metropolitana di Torino non sono legittimi. Non lo sono, innanzitutto, perché violano un accordo sottoscritto appena un anno prima tra i due enti. E, dunque, vanno reintegrati.Le risorse del governo. Nel 2012 Comune e Regione trovano un accordo dopo varie incomprensioni e ricorsi davanti alla giustizia amministrativa, dovuti ai tagli decisi dalla giunta Cota. L'intesa riguarda il piano triennale dei trasporti 2011-2013, ormai quasi alla fine, tanto che ci si concentra sul 2013 e si pattuisce per il metrò un finanziamento di 17 milioni, meno dei 19,5 erogati nel 2011 e ancor meno delle richieste di Gtt (la società gestrice), 21. La transazione segna la fine delle ostilità: il Comune prende atto delle difficoltà della Regione e rinuncia a dare battaglia nei tribunali, accontentandosi di quel che piazza Castello può stanziare. Il guaio è che l'anno successivo la Regione taglia di nuovo e – di fatto – viola l'accordo: i 17 milioni per il metrò vengono decurtati del 6,57% per il 2013, del 12,38% per il 2014 e del 15,42% per il 2015. Per il Tar è un atto illegittimo perché casca a freddo sulla testa di Palazzo Civico: «Un comportamento opaco, sostanzialmente funzionale a rendere inutili e prive di rilevanza le procedure di concertazione e così non conforme al principio di leale collaborazione che deve ispirare i rapporti tra le amministrazioni dello Stato», scrivono i giudici nella sentenza depositata venerdì. Questo per il 2013, l'anno dell'accordo non rispettato. E il 2014 e 2015? Il Comune chiedeva al Tar di ribaltare anche i tagli imposti sugli anni successivi, cosa che i giudici non hanno accolto perché quel periodo non era oggetto dell'accordo del 2012. La pronuncia, però, introduce un concetto rilevante: un ente pubblico non può tagliare o ridurre i servizi solo perché, a monte, lo Stato ha soppresso parte delle risorse. Deve, come minimo, concordarlo con chi poi ne dovrà sopportare le ricadute. Nel caso del trasporto pubblico, poi, «le Regioni possono e debbono stanziare anche somme maggiori ed ultronee rispetto a quelle oggetto di trasferimento dal Fondo Nazionale», annotano i giudici. Anche perché – scrivono nella sentenza – «tra gli obiettivi imposti dal legislatore nazionale non v'è quello della progressiva riduzione del costo generale del servizio di Tpl bensì quello del progressivo incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi, incremento al quale è possibile pervenire anche per mezzo del potenziamento del servizio e della conseguente fruibilità di esso da parte di un maggior numero di utenti, che sarebbero in tal modo scoraggiati dal ricorrere alla mobilità privata». La Regione, anche a fronte di tagli imposti da Roma, avrebbe potuto (magari anche dovuto) cercare tra le pieghe del bilancio le risorse per compensare, o comunque convocare il Comune e cercare insieme una soluzione che non penalizzasse i passeggeri.